LUNGO I SENTIERI DEL NEBBIOLO di Marzia Pinotti

LUNGO I SENTIERI DEL NEBBIOLO di Marzia Pinotti

Perchè ogni generazione crede di aver capito tutto, di aver scoperto tutto. E’ molto difficile che compia degli atti di umiltà e dica: ” ma prima di noi, che cosa è successo?”

Intervista a Beppe rinaldi di marzia pinotti 29-04-2015

Scrivere di chi ha scritto di Nebbiolo credo sia la cosa più difficile di tutte.

Anche conoscendo il cuore e le volontà dell’autrice mi risulta davvero difficile raccontarvi il libro di Marzia, nettamente più semplice raccontarvi “La Barbera è femmina” la Barbera è un’uva che parla della gente: è il vino del “fare”, per il Nebbiolo questa cosa non succede.

La Barbera ti guarda, non ha la pretesa di volerti conoscere, non ha la necessità di capirti bensì dal primo incontro ti consola, ti abbraccia e come un amico arrivato da lontano se ne torna a partire.

Il Nebbiolo non è niente di tutto questo. Lui, ruvido esempio di cocciutaggine imprenditoriale è uva che ha stregato ogni posto in cui si è radicato. Pensiamo ai molteplici modi che abbiamo per chiamarlo, solo nel Nord Italia possiamo sentire Picoutener, Spanna o Chiavennasca e tante altri ancor più antichi e pittoreschi.

foto di Marzia Pinotti

Il Piemonte rappresenta senza dubbio la regione dove il Nebbiolo ha trovato casa, dove è stato accettato per quello che è. Uva non priva di difetti, scorbutica e molto sensibile. Io mi chiedo se soprattutto le Langhe, quelle del Barolo e del Barbaresco ma anche il Roero si rendano davvero conto di cosa abbia cotituito quest’uva per il loro territorio.

Confesso ingenuamente che l’ottimo vostro vino di Sizzano mi ha convinto della possibilità di fabbricare in Piemonte vini di lusso. Cotesto vino possiede in alto grado, ciò che fa il pregio dei vini di Francia e manca generalmente ai nostrani, il bouquet. Il bouquet del Sizzano non somiglia a quello del Bordeax, ma bensì al bouquet della Borgogna […].

Camillo Benso Conte di Cavour. Lettera a Giacomo Giovanetti luglio 1845

Leggendo attentamente il libro di Marzia e le sue interviste ai personaggi che hanno fatto la storia del Nebbiolo, del Barolo ma soprattutto del Piemonte, come Beppe Rinaldi, si capisce in modo netto come non tutte le Langhe fossero terreno fertile per piantare uva: oggi contro ogni decenza una monocoltura e forse inesorabilmente una mono-cultura.

Lo stesso Rinaldi diceva :

Adesso si fanno un sacco di “rinfole”, a proposito di suolo, di marna, di esposizione, ma una volta i vecchi dicevano ” quello li è un posto da Nebbiolo”, il che riassumeva tutto. Lì c’era la marna senza troppa silice.

Rinaldi Beppe Lungo i Sentieri del Nebbiolo di Marzia Pinotti pag 38

Oggi le Langhe, patrimonio mondiale dell’umanità, bene UNESCO ecc… ecc… sono diventate una gigantesca distesa di vigneti che non lascia più spazio alla biodiversità. I boschi fino a sessant’anni fa popolavano le colline morbide di Alba, i famosissimi noccioleti che producevano la nocciola più famosa del mondo, stanno via via scomparendo, lasciando il posto all’uva anzi al Nebbiolo, molto più remunerativo.

foto di Marzia Pinotti

L’habitat langarolo autentico è ormai inesorabilmente svanito, sostituito da asfalti verdi di viti che tentano di dare il loro meglio su terreni che gli avi avrebbero destinato volentieri a foraggio o zona boschiva.

Il mito del Barolo, per assurdo scherzo del destino, è stato creato da una donna francesce, Juliette Colbert de Maulévrier, sposata al marchese Falletti nel 1806.

Le uve in Barolo sono il Nebbiolo e il Neiran: con queste due uve si fa il famoso vino di Barolo, nel quale però il Neiran non v’entra che per un decimo. […] Il vino di Barolo dura molti anni e il marchese di Barolo lo conserva per mandarlo alla Corte di Torino e ad altri.

G.Gallesio I giornali dei viaggi p.378

Il Nebbiolo però non ha nessuna colpa in tutta questa storia, anzi è tra i tanti il protagonista di una battaglia di resilienza che lo ha visto resistere, mutare nei secoli, adattandosi a terreni e climi diversi dando risultati ogni volta sorprendenti.

Che cosa rende unico il Nebbiolo secondo lei? Chiede Marzia a Beppe Rinaldi :

Il fatto che ci hanno provato a piantarlo in giro per il mondo, ma lui non dà gli stessi risultati. Dà un vino anonimo che non ha nulla a che fare col nostro. E per fortuna! Anche qui una volta si assaggiavano vini che tu dicevi: ma da dove arrivano? si hanno l’etichetta di qua, però…Boh.

Rinaldi Beppe Lungo i Sentieri del Nebbiolo di Marzia Pinotti pag 46

Se parliamo di Nebbiolo e del suo percorso di adattamento nel Nord Italia oltre alle Langhe, troviamo il Nebbiolo in Valtellina, in Val Camonica, nei territori di Ghemme, Boca, Gattinara, Fara, Carema ecc… fino ad arrivare grazie all’antico Regno di Sardegna ad alcuni vigneti in Sardegna dove ancora oggi ne producono alcune etichette.

locale affinamento cantina Matteo Correggia

Quello che mi ha sempre affascinato e catturato del Nebbiolo è che chiunque lo produca deve esserne in qualche modo oltre che padre anche interprete ed intimo amante. Dietro ad un vino non c’è solo l’intenzione di chi lo beve ma soprattutto l’intenzione di chi lo produce che ci consegna uno stile vero e proprio, una linea di pensiero, una politica dell’animo che fermenta in vino.

E’ in un contesto come questo che inserisco volentieri una brevissima “critica” a quello che, a parer mio, è stato un autentico atto di eroismo, ovvero la nascita del movimento dei “BAROLO BOYS”. La “rivoluzione” dei Barolo Boys è fatta di nuove tecniche enologiche come l’utilizzo dalla barrique, di derivazione francese, scelta che innescò polemiche e contrasti nel mondo del vino, scatenando una contrapposizione quasi ideologica tra Modernisti (i Barolo Boys) e Tradizionalisti. Lo stesso Rinaldi rimarcava il fatto che il Nebbiolo per allinearsi alla fama dei grandi vini di Borgogna dovesse esigere la presenza di interpreti che possibilmente restassero artigianali quindi piccoli.

In un intervista di Marzia a Giovanni Canonica del 19-01-2017 a proposito del carattere dell’uva Nebbiolo:

…E’ difficile e allo stesso tempo non lo è. Vuole certi terreni, vegeta molto e dà molto lavoro, però patisce pochissimo. […] E’ una macchina da guerra. […] Con il Nebbiolo è amore e odio.

Tutto sommato è come con le persone. I Barolo Boys, uno su tutti Elio Altare, ha fatto sua la frase di Eskimo: ” bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà. Un’intuizione è tale proprio perchè anticipa i tempi e stupisce, fa parlare di se e col passare degli anni diventa solida ed indelebile. Cos’è dopotutto il “genio” è Fantasia, Intuizione, Decisione e Velocità di esecuzione. Si possono amare e odiare ma quello che conta è la ragionevolezza con la quale ci si pone uno di fronte all’altro. Il modo di guardarsi negli occhi e di mettersi in gioco. Di donarsi all’altro. Con il Nebbiolo è la stessa cosa, se lo incastriamo e lo limitiamo, avremo vini chiusi, “gnucchi” senza leggerezza. Se lasciamo che si esprima in modo anarchico avremo vini scheletrici e bambineschi, vezzeggiativi dei veri caratteri che il Nebbiolo sa donare.

Questo ondeggiare di variabilità espressive si nota benissimo quando dalle rocce e dai terrazzamenti di Carema o i terreni vulcanici di Gattinara, andiamo in certe colline di La Morra o Serralunga, o nelle “roche” del Roero, dove i Nebbioli se lasciati liberi si coniugano in autentiche sinfonie.

dettaglio della cantina di Matteo Correggia nel Roero

Il problema, forse, come in ogni grande storia che si rispetti sono stati i soldi derivati dal successo del Barolo e del Barbaresco e a cascata di tutti i grandi vini a base Nebbiolo.In modo rapido tantissimi soldi sono arrivati nelle tasche dei produttori che nel giro di trenta quarant’anni si sono triplicati, trasformando il Nebbiolo in una prostituta da vinifiazioni facili, rapide e sconsiderate sino ad arrivare alla produzione di Barolo D.O.C. a 12,99€ al supermercato. (purtroppo esiste davvero!!!).

Il Nebbiolo come abbiamo fin qui detto è un’uva molto versatile, il merito è sicuramente da attribuire a quei produttori che scommettono su quest’uva in purezza o in taglio con altre autoctone come dolcetto e barbera per proporre vini che si differenziano dai Barolo e dai Barbareschi. Il Nebbiolo come dice Ferdinando Principiano, grande produttore langarolo, in un’intervista a Marzia è un’uva che è estremamente sensibile alla persona che lo coltiva, mentre in cantina è un vino che crolla se lavorato male, o lavorato troppo poco o in modo eccessivo: E’ un vino che va capito.

Inverno. Svoltai per l’Annunziata e salii lungo la strada serpeggiante tra i vigneti spogli, proseguendo poi verso La Morra. Alla rotonda dove la strada porta verso Santa Maria, accostai e scesi dall’auto. Li il paesaggio era di una bellezza mozzafiato. Il cielo era grigio, ma da quella posizione erano comunque visibili le tre lingue di terra: la costa di La Morra su cui mi trovavo, quella centrale, più bassa, di barolo e Castiglione Falletto, e quella di Serralunga e Monforte, che si ergeva alle sue spalle.

M.Pinotti Lungo i Sentieri del Nebbiolo di Marzia Pinotti pag.90

Una bellissima riflessione sul Barolo ci viene consegnata da Marzia quando scrive:

Cos’era stato il Barolo nel corso del tempo? Intrinsecamente, un vino che non temeva rivali, considerato il migliore al mondo nelle corti europee quando ancora non si chiamava Barolo, ma che, nella realtà dei fatti, aveva manifestato da subito la sua fragilità, a partire dal nome: Barolo era uno state of mind, non un luogo, che fin dall’inizio si era nutrito della complessità di un territorio ben più vasto.[…] Ma poi, negli anni duemila, ci si era spinti ben oltre quella logica, cancellando ogni forma di biodiversità, costruendo cantine avveniristiche che sfregiavano il paesaggio, affermando la supremazia della chimica sulla natura, e creando vini prete à porter pronti subito, e bottiglie su misura per ogni tipo di consumatore.[…] la separazione del lavoro contadino dalla produzione vinicola.

M.Pinotti Lungo i Sentieri del Nebbiolo di Marzia Pinotti pag.118

Quanto detto fin’ora per Barolo e Barbaresco sembra lasciare qualche speranza al di la del fiume Tanaro, nel Roero, dove troviamo produttori come Matteo Correggia, oggi sostituito con passione dal figlio Giovanni e la moglie Ornella insieme al grande enologo e viticoltore Luca Rostagno. Qui il nome del territorio entra sin nel bicchiere come succede coi vicini barolisti ma mantenendo una sua biodiversità selvaggia e variegata.

La biodiversità non deve esser sbandierata come si fa, a cuor leggero, col produrre biologico, altrimenti si corre il rischio di cadere in facilonerie stilistiche e modaliole. Deve essere il punto di partenza per la produzione di vini salubri, sani e sostenibili nel tempo. Il Roero da Montà a Santo Stefano, da Monteu a Vezza fino a Canale è la dimostrazione di come le uve qui principalmente Barbera, Nebbiolo, Brachetto e Arneis abbiano trovato un’areale perfetto.

Prosegue il viaggio lungo i sentieri del Nebbiolo arrivando nel novarese, nei comuni di Fara e Briona dove Marzia intervista Francesca Castaldi che in un passaggio dice una cosa che dovrebbe esser incisa a fuoco sui portoni di tutte le cantine del mondo:

[…] Nel vino c’è sempre la storia dell’annata, ma poi c’è anche un pò la storia di chi lo fa. Di ciò che vuoi diventare. Avremmo bisogno di tre vendemmie all’anno, e invece il fatto di averne una sola ti insegna ad avere un atteggiamento più paziente e fatalista.

Francesca Castaldi Lungo i Sentieri del Nebbiolo di M.Pinotti pag. 193

Il viaggio lungo i sentieri del Nebbiolo tocca moltissimi altri areali, uno più vocato dell’altro da Lessona a Donnas sino ad arrivare alla Val d’Ossola ed Erbanno in Valcamonica. Ma è Carema, la città che fa da cartolina e allo stesso da faro che vi guiderà alla lettura dell’intero libro.

Mario Soldati anni prima l’aveva rinominata la città vigneto, in ogni pezzetto di terra si piantava la vigna. Piccoli appezzamenti di terreno divisi tra tutte le famiglie del paese, vigneti che non vanno mai a coprire grosse aree di paesaggio.

Qui troviamo la sintesi del Nebbiolo. Pochi produttori concorrono alla salvaguardia di un vino, di un territorio, rispettando tutto e tutti senza nulla imporre e nulla togliere a quello che intorno li circonda, nel nome di un unica uva: il Nebbiolo.

i protagonisti veri della Barolo Boys Revolution

E’ certamente più semplice parlare di salvaguardia di un territorio molto piccolo come Carema, rispetto all’intero patrimonio langarolo, però è giusto ribadire un concetto che io ritengo universale, ovvero l’importanza di sapere conservare i sapori, i profumi anche i più scorbutici che un vino è in grado di regalare, legandoli sempre di più alla tipicità del territorio da cui nascono.

Per concludere e per stimolarvi alla lettura del libro di Marzia vi lascio con una provocazione, una domanda che mi porto dentro dal giorno in cui ho iniziato a bere vino usando la testa.

E’ più importante, secondo voi, imporre un vino sul mercato partendo dalla forza di un territorio, innalzandoli ad esclusivi, col rischio di impoverire tutto quello che li circonda o invece fare in modo che la forza di un territorio/di un vino venga comunicata (anche attraverso il prezzo perche no) all’interno delle etichette e dei bicchieri delle singole ettichette di vino magari facendo leva su tipicità, esclusività sensoriale e caratteri umani come succede spesso nell’esempio vincente della Borgogna francese?

Non so! a voi la risposta o la ricerca della stessa… io nel frattempo ci rifletto sopra stappando un “Arborina” 2010 di Elio Altare.

Grazie a Marzia per aver scritto questo libro che arricchendo la mia cultura porterò per sempre nel cuore.

Andrea Pilu

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